Avv. Fulvio Graziotto
Nel reato di bancarotta il fallimento è condizione di punibilità e non elemento costitutivo del reato
Nel reato di bancarotta, la dichiarazione di fallimento ha funzione di mera condizione oggettiva di punibilità, determina il dies a quo della prescrizione e vale a radicare la competenza territoriale.
In quanto è provvedimento del giudice, non può essere elemento costitutivo del reato.
L'imprenditore non è il dominus assoluto e incontrollato del patrimonio aziendale, nel senso che non può farne un utilizzo che leda o metta in pericolo gli interessi dei creditori e gli interessi costituzionalmente tutelati dall'art. 41 Costituzione, a mente del quale l'iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Un imprenditore individuale, poi fallito, veniva condannato dal Tribunale per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, condanna confermata dalla Corte di Appello.
L'imprenditore proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che per la configurabilità del reato in questione, il fallimento debba essere preveduto e voluto, almeno a titolo di dolo eventuale (cioè accettando il rischio che si verifichi il fallimento).
La tesi del ricorrente si basa su una pronuncia isolata della Cassazione Penale del 2012 che riteneva che la dichiarazione di fallimento fosse un elemento essenziale del reato", ma il Collegio affronta la questione, e rigetta il ricorso.
Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale è posto a tutela dell'interesse dei creditori all'integrità del patrimonio del fallito.
Il termine "distrazione" indica la sottrazione di un bene alla funzione di garanzia patrimoniale a favore dei creditori, con destinazione del bene a uno scopo diverso: la distrazione può commettersi sia con strumenti giuridici che con operazioni materiali, ed è residuale, nel senso che può ritenersi applicabile quando non si riscontrano le altre condotte specifiche previste.
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Studio Graziotto
- Cass. 22474/2016
- Cass. 21846/2014
- Cass. 3229/2013
- Cass. 21039/2011, Sezioni Unite
REGIO DECRETO 16 marzo 1942, n. 267
Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa
Vigente al: 27-05-2017
Art. 216 - Bancarotta fraudolenta
E' punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore, che:
1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
La stessa pena si applica all'imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.
E' punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.
Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.