Avv. Fulvio Graziotto
Contratto di cessione partecipazioni sociali risolvibile se la società è del tutto priva di capacità funzionale
In materia di cessione di partecipazioni sociali, l'accertamento successivo della consistenza patrimoniale ben inferiore al limite legale al momento della cessione comporta, di regola, che la società sia del tutto priva di qualsiasi capacità funzionale, il che consente di ammettere la risoluzione del contratto ove l'affidamento del cessionario debba intendersi giustificato alla stregua del principio di buona fede.
In materia di cessione di partecipazioni sociali, l'accertamento successivo della consistenza patrimoniale ben inferiore al limite legale al momento della cessione comporta, di regola, che la società sia del tutto priva di qualsiasi capacità funzionale, il che consente di ammettere la risoluzione del contratto ove l'affidamento del cessionario debba intendersi giustificato alla stregua del principio di buona fede.
Ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento di un contratto a prestazioni corrispettive, il compito del giudice del merito non è limitato all'esame dell'inadempienza ascritta ad uno dei contraenti, ma deve necessariamente estendersi alla valutazione unitaria e comparativa della condotta di entrambe le parti.
La questione sottoposta alla Suprema Corte riguarda un atto di cessione di quote sociali in una SRL, a seguito di precedente preliminare. I promittenti venditori avevano garantito la conformità della situazione patrimoniale ed economica della SRL ai risultati del bilancio, e quindi si era provveduto alla stipula dei definitivi. A seguito di revisione contabile si era scoperta una perdita da sopravvenienze passive dei precedenti esercizi per quasi 800 mila euro 790.000,00; conseguentemente, l'assemblea della società aveva deliberato lo scioglimento della società e la sua messa in liquidazione. Gli acquirenti chiedevano, tra l'altro, pronunciarsi la risoluzione dei contratti di compravendita per inadempimento dei venditori, ovvero l'annullamento dei contratti per dolo o errore essenziale, e la restituzione delle somme versate oltre al risarcimento dei danni.
In pendenza del giudizio di primo grado veniva dichiarato il fallimento della società.
Il Tribunale pronunciava la risoluzione dei contratti e condannava in solido i convenuti a restituire il corrispettivo dell'alienazione e a risarcire il danno cagionato. La corte d'appello rigettava il gravame e condannava gli appellanti in solido alle spese; evidenziava la corte che si desumeva dalla relazione di c.t.u., una situazione patrimoniale ben diversa da quella risultante dal bilancio. In particolare il tribunale aveva ritenuto che al momento della stipula degli atti di cessione il capitale sociale era ben inferiore al minimo legale, sicché la società era del tutto priva di qualsivoglia capacità funzionale.
Con l'unico motivo di ricorso in Cassazione i ricorrenti denunciavano la violazione degli artt. 1453 e ss. cod. civ. e degli artt. 116 e ss. cod. proc. civ., nonché l'omessa motivazione: deducevano che la corte di merito non aveva valutato in forma comparativa i comportamenti complessivi tenuti da ciascuna parte contraente, né motivato al riguardo.
Il Collegio dapprima spiega che «ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento di un contratto a prestazioni corrispettive, il compito del giudice del merito non è limitato all'esame dell'inadempienza ascritta ad uno dei contraenti, ma deve necessariamente estendersi alla valutazione unitaria e comparativa della condotta di entrambe le parti. E soggiunge che siffatta valutazione, concretandosi in un apprezzamento di fatto, è insindacabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione sufficiente, logica ed immune da errori di diritto».
Poi rigetta il ricorso, perché l'unico motivo proposto costituiva un inammissibile censura all'accertamento dei fatti, non operabile nel giudizio di legittimità avanti alla Corte di Cassazione.
Ma ha ritenuto di puntualizzare - apparentemente in contrasto con la corrente giurisprudenziale maggioritaria - che le partecipazioni sociali costituiscono beni di secondo grado che non sono del tutto distinti e separati da quelli compresi nel patrimonio sociale.
In realtà, la Suprema Corte ha fatto intendere che nel caso di specie l'accertamento successivo della consistenza patrimoniale aveva evidenziato un patrimonio netto (negativo) ben inferiore al limite legale, il che comportava che la società era del tutto priva di qualsiasi capacità funzionale, il che consentiva - nel caso di specie - di ammettere la risoluzione del contratto.
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Studio Graziotto
- Cass. 18181/2004
- Cass. 13840/2010
- Cass. 1554/1989
Codice Civile
Vigente al: 19-10-2019
Art. 1453 - Risolubilità del contratto per inadempimento
Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.
La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l'adempimento; ma non può più chiedersi l'adempimento quando è stata domandata la risoluzione.
Dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione.
Art. 1495 - Termini e condizioni per l'azione
Il compratore decade dal diritto alla garanzia, se non denunzia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge.
La denunzia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l'esistenza del vizio o l'ha occultato.
L'azione si prescrive, in ogni caso, in un anno dalla consegna; ma il compratore, che sia convenuto per l'esecuzione del contratto, può sempre far valere la garanzia, purchè il vizio della cosa sia stato denunziato entro otto giorni dalla scoperta e prima del decorso dell'anno dalla consegna.
Art. 1497 - Mancanza di qualità
Quando la cosa venduta non ha le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l'uso a cui è destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento, purchè il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi.
Tuttavia il diritto di ottenere la risoluzione è soggetto alla decadenza e alla prescrizione stabilite dall'art. 1495.
Art. 2484 - Cause di scioglimento
Le società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata si sciolgono:
1) per il decorso del termine;
2) per il conseguimento dell'oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo, salvo che l'assemblea, all'uopo convocata senza indugio, non deliberi le opportune modifiche statutarie;
3) per l'impossibilità di funzionamento o per la continuata inattività dell'assemblea;
4) per la riduzione del capitale al disotto del minimo legale, salvo quanto è disposto dagli articoli 2447 e 2482-ter;
5) nelle ipotesi previste dagli articoli 2437-quater e 2473;
6) per deliberazione dell'assemblea;
7) per le altre cause previste dall'atto costitutivo o dallo statuto.
La società inoltre si scioglie per le altre cause previste dalla legge; in queste ipotesi le disposizioni dei seguenti articoli si applicano in quanto compatibili.
Gli effetti dello scioglimento si determinano, nelle ipotesi previste dai numeri 1), 2), 3), 4) e 5) del primo comma, alla data dell'iscrizione presso l'ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori ne accertano la causa e, nell'ipotesi prevista dal numero 6) del medesimo comma, alla data dell'iscrizione della relativa deliberazione.
Quando l'atto costitutivo o lo statuto prevedono altre cause di scioglimento, essi devono determinare la competenza a deciderle od accertarle, e ad effettuare gli adempimenti pubblicitari di cui al precedente comma.
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